Kuc, la resistenza dimenticata di chi è morto invocando Dio

Condividi l'articolo con i tuoi social

di Luigi Girlanda

Foglietti strappati con poche righe raccolgono le ultime parole dei nostri ufficiali, uccisi in Albania dopo l’8 settembre, e per troppo tempo finiti nell’oblio

Nonostante siano passati più di settanta anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ci sono ancora storie di estremo eroismo di ufficiali dell’esercito italiano che non vengono raccontate. Questo perché il fenomeno della Resistenza ha avuto molti, ma molti più protagonisti di quanti non le vengano normalmente attribuiti dalla “vulgata”. “I partigiani operanti nell’Italia centro-settentrionale – scrive il generale Alberto Zignani – furono una parte sicuramente politicamente importante, ma, altrettanto sicuramente, del tutto minoritaria rispetto al complesso delle forze che storicamente combatterono la Resistenza italiana”. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato e, almeno su una parte della Resistenza, quella dei militari italiani all’estero, è stato rimosso il vergognoso velo di oblio. Basti pensare alla drammatica vicenda della divisione Acqui a Cefalonia, a cui è stato dedicato anche un importante e ben curato sceneggiato televisivo. Eppure, negli stessi giorni dell’eccidio di Cefalonia, solo pochi chilometri più a nord, in Albania, la divisione Perugia viveva un Calvario per certi aspetti ancora più drammatico e che è doveroso raccontare e fare uscire dall’oblio in cui è stato relegato. 

Non cedere e tornare in Patria

In quel drammatico settembre 1943 l’Albania era uno stato inserito con la forza nell’allora Regno d’Italia, contro ogni logica e convenienza, se non quella della politica di potenza della dittatura fascista. Quando si ruppero i rapporti tra Italia e Germania, con la defezione dal conflitto sancita dall’armistizio dell’8 settembre, proprio in Albania si creò una situazione drammatica per i militari italiani, visti come traditori dai tedeschi e come occupanti dai nazionalisti albanesi. “Per questo – scrive giustamente Ilio Muraca – gli avvenimenti in Albania costituiscono il quadro forse più drammatico, sfortunato e, per molti aspetti, disperatamente eroico con cui i nostri militari dovettero confrontarsi; all’inizio per sfuggire alla trappola di un territorio divenuto inaffidabile ed ostile e, in seguito, per cercare di sopravvivere, in qualsiasi modo e a qualunque prezzo in un ambiente estremamente povero e privo di risorse”. Anche gli ufficiali della divisione Perugia furono colti di sorpresa la sera dell’8 settembre 1943 dalla notizia dell’armistizio firmato dal maresciallo Badoglio con gli angloamericani. Dopo un timido entusiasmo iniziale delle truppe, illuse che la guerra fosse finita, gli ufficiali capirono subito che la situazione sarebbe diventata disperata. La prima decisione presa fu quella di riunire ad Argirocastro tutti i battaglioni del 129° reggimento, che erano di stanza in alcune città del sud dell’Albania. Dopo un confronto tra tutti gli ufficiali con il comandante, generale Ernesto Chiminello, si concordò di non cedere le armi e di spostarsi verso Porto Edda (l’attuale Saranda), situata davanti all’isola di Corfù, per attendere ordini dal Comando Supremo e tentare il rientro in Italia di tutti i soldati del reggimento. Rientro che si identificava con la salvezza! La marcia verso il mare dei circa seimila soldati e quattrocento ufficiali della Divisione fu rinfrancato anche da un messaggio del Comando Supremo, lanciato tramite un aereo, in cui si leggeva: “Mantenete salda la vostra compagnia, resistete ed attendete fiduciosi i soccorsi che stanno già per giungere a Porto Edda per restituirvi alla Patria che vi attende orgogliosa”. In realtà, una volta giunta a Porto Edda, la divisione Perugia riuscirà ad imbarcare solo una minima parte dei propri soldati, perché dall’Italia arrivarono solo poche navi. E qui si scrive una prima storia di grande eroismo. Il tenente colonnello Emilio Cirino fu imbarcato la sera del 22 settembre con l’incarico di riferire al Comando di Brindisi quanto stava accadendo in Albania. Questo eroico ufficiale giunse quindi in Italia e, una volta riferito al Comando supremo, avrebbe potuto restare in patria e ritornare dalla propria famiglia. Ma il tenente colonnello Cirino aveva dato la sua parola di ufficiale italiano che sarebbe tornato tra i suoi soldati e che non li avrebbe abbandonati. Fece ritorno in Albania per condividere la sorte dei suoi compagni ufficiali e per provvedere ai suoi sottoposti. Era la sera del 24 settembre quando Cirino sbarcò di nuovo a Porto Edda. Fu l’ultima sera in cui si riuscì a imbarcare dei militari e a farli ritornare salvi in patria. I tedeschi infatti avevano preso l’isola di Corfù e cominciarono a bombardare le navi italiane attraccate per interrompere il rientro in Italia dei soldati.

Catturati e messi a morte

L’epilogo della divisione Perugia è straziante. Nel pomeriggio del 26 settembre un Macchi 205 recapita un ultimo messaggio del Capo di Stato Maggiore: “Corfù occupata dai tedeschi. Impossibile raggiungere Porto Edda con navi. Portatevi a Porto Palermo ove procureremo imbarcarvi”. Con un ultimo disperato sforzo, l’intera divisione si sposta verso la destinazione indicata, circa quaranta chilometri più a nord di Saranda. Ma purtroppo nessuna nave giungerà mai dall’Italia. Abbandonati dal proprio Comando, attaccati dai tedeschi ormai penetrati in Albania e vessati dai continui attacchi notturni dei nazionalisti albanesi, gran parte degli ufficiali e soldati della divisione Perugia, compreso il comandante Chiminiello, decisero di consegnarsi ai tedeschi. Tutti gli ufficiali vennero riportati a Saranda e fucilati come traditori. Solo l’eroico II° Battaglione “Ciclisti” decise di non arrendersi e di prendere la via della montagna nell’entroterra albanese. Riuscirono a resistere fino alla sera del 5 ottobre, quando l’ignobile tradimento di un albanese fece sì che i tedeschi riuscissero a catturare l’ultimo resto della divisione.

Le ultime parole

Per i soldati la cattura voleva dire prigionia, ma per gli ufficiali significava morte. I tedeschi infatti non li consideravano come prigionieri, visto che all’armistizio non era seguita la dichiarazione di guerra alla Germania. Per loro gli ufficiali italiani erano traditori e come tali dovevano morire. Dopo averli separati dai propri soldati, la mattina del 7 ottobre 1943, giorno della Madonna del Rosario, li condussero in un pianoro vicino a Kuc, nell’entroterra albanese e, senza alcun processo, li fucilarono come traditori. Conosciamo ogni dettaglio di quel tragico epilogo perché uno degli ufficiali, qualche giorno prima,  aveva per caso trovato uno zaino. Aprendolo, scoprì che apparteneva a un cappellano militare che lo aveva smarrito e non poteva certo immaginare che quello zaino gli avrebbe salvato la vita. D’accordo con i compagni, che vedevano in lui l’unico che avrebbe potuto raccontare alle famiglie la loro triste sorte, si finse il cappellano militare del battaglione ed ebbe quindi salva la vita. Fece recitare la preghiera di offerta della vita a Dio ai suoi sventurati compagni, fece baciare loro un piccolo crocifisso e fece scrivere gli ultimi messaggi alle famiglie. Ne riportiamo alcuni, scelti poco più che a caso, che dimostrano come questi eroi italiani, nel momento del supremo sacrificio, fossero sorretti da una fede profonda. Il Sottotenente Ridolfi lascia scritto per sua moglie: «Mia Veruccia, ti attendo in cielo. Prega Iddio per me. Sono nel momento di essere fucilato e penso a te e chiedo perdono a Dio dei miei peccati”. Il tenente D’Urbano scrive al padre: “Caro papà, muoio nel giorno dell’Immacolata di Pompei colla corona del Rosario. Addio». In una delle lettere inviate alla famiglia, il capitano Luigi Minelli aveva scritto qualche tempo prima una frase lapidaria: “In ogni uomo sonnecchia un eroe”. E fu proprio in quel momento supremo che l’eroe dormiente in ciascuno degli ufficiali del II° battaglione della divisione Perugia si risvegliò. Furono fucilati a gruppi di quattro per ordine di grado. Erano circa le 10,35. Morirono tutti gridando “viva l’Italia”. Sono stati insigniti della Medaglia al Valor militare. I loro resti mortali oggi sono conservati al sacrario militare di Bari. 

Uno dei biglietti scritti dagli ufficiali al momento della fucilazione e crocifisso che hanno baciato prima di morire.

Uno degli ultimi messaggi scritti dagli ufficiali e il crocifisso che hanno baciato prima di morire

Per approfondire è possibile visitare il sito curato dai familiari degli ufficiali fucilati a kuc www.kuc.altervista.org

da Il Timone (dicembre 2021)
Condividi l'articolo con i tuoi social