Il valore della Messa per i nostri defunti
di Luigi Girlanda
Far celebrare un’Eucaristia per un defunto è il dono più grande che possiamo fargli e non è mai “a vuoto”. La Chiesa è comunione dei santi, perché la vita in ultimo non ci viene tolta ma trasformata
Ostia Tiberina, una giornata di fine agosto dell’Anno Domini 387. Santa Monica è sul letto di morte e rivolge le ultime parole ai suoi due figli riuniti al suo capezzale: «seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore». Qualche anno dopo, uno di quei due figli, sant’Agostino, scriverà il De cura mortuorum, un testo oggi purtroppo quasi dimenticato, proprio sul significato delle preghiere per i morti e, in modo particolare, sul valore inestimabile della celebrazione della santa messa per i defunti. Dopo aver ricordato che anche nell’Antico Testamento, e precisamente nel libro dei Maccabei, si legge che venne offerto un sacrificio per i defunti, sant’Agostino si spinge a scrivere: «ma anche se in nessun luogo delle antiche Scritture si leggesse qualcosa di simile, non poca cosa sarebbe l’autorità della Chiesa universale che si manifesta in questa usanza quando, tra le preghiere che dal sacerdote vengono innalzate al Signore nostro Dio davanti al suo altare, c’è un posto preminente per la preghiera per i defunti».
Il Purgatorio esiste
Nonostante quanto vadano quindi ripetendo molti avversari del cattolicesimo, la dottrina del Purgatorio, ovvero di una purificazione per le anime dei defunti prima della visione beatifica di Dio, pur se definita soltanto nel 1274 al secondo Concilio di Lione, è da sempre creduta nella Chiesa visto che, fin dagli inizi dell’era cristiana, si è ritenuto doveroso e meritevole pregare per coloro che, lasciato questo mondo, continuano a vivere e ad essere in comunione con chi abita su questa terra. Non a caso, nel canone dei defunti, la liturgia ufficiale usa un’espressione meravigliosa: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”. Una trasformazione di vita che non cancella però quella misteriosa unione tra tutti i battezzati che viene giustamente chiamata “comunione dei santi”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 946, dice espressamente che “la comunione dei santi è precisamente la Chiesa”. Con il battesimo ogni credente viene “incorporato” a Cristo, così da formare insieme a tutti i battezzati di qualunque epoca storica il “corpo mistico di Cristo”. C’è un’unione ontologica di tutti i fedeli quindi che, realizzata dal battesimo, non viene spezzata dalla morte. Proprio in virtù di questa comunione, anche dopo la loro morte è possibile aiutare coloro che hanno lasciato questo mondo. Non a caso, da sempre la Chiesa insegna che una delle opere di misericordia spirituale più meritorie è proprio il pregare Dio per i vivi e per i morti. In effetti, proprio perché con la morte è compiuta la nostra libertà, i defunti non possono più “compiere opere per se stessi”, ma possono ancora pregare e aiutare chi si trova sulla Terra. La chiesa militante, cioè quella formata da coloro che ancora vivono nel mondo, può invece venire in aiuto di chi si sta purificando in Purgatorio, soprattutto offrendo il sacrificio della messa. Proprio su quest’ultimo aspetto, però, ci sono molte domande che spesso nascono nel cuore dei fedeli e sulle quali è opportuno spendere qualche parola di chiarimento.
Le messe per anime già salve o dannate
Un primo aspetto su cui vale la pena fare chiarezza è quello relativo al valore della messa celebrata per un’anima che fosse già in Paradiso o, peggio ancora, fosse finita all’inferno. In effetti, le anime dei santi non hanno bisogno di suffragi perché già contemplano Dio e quelle dei dannati non possono riceverne alcun beneficio data la loro condizione di separazione eterna dal Creatore. Molti fedeli, davanti a questa duplice possibilità, rimangono perplessi e finiscono per non far celebrare messe perché pensano che “tanto Dio sa tutto”. Ebbene, va ricordato che esiste una contabilità che solo il buon Dio sa tenere e che le nostre messe di suffragio per un’anima che non ne avesse bisogno sono comunque bene accette al Signore, che ne riversa i benefici su qualche anima che ne ha particolare bisogno. Da parte del fedele, proprio per la certezza che Dio conosce i bisogni spirituali di ciascuno dei suoi figli, vale il principio “melius est abundare quam deficere”, ovvero è meglio far celebrare una messa per un defunto che non ne ha più bisogno piuttosto che rischiare di non offrigli i benefici immensi del sacrificio di Cristo.
Il valore del sacrificio di Cristo
Proprio pensando al valore infinito di ogni singola messa, possiamo far chiarezza su un altro dubbio che spesso sorge nei fedeli. Se il sacrificio di Cristo ha un valore immenso, che senso ha far celebrare più messe per un singolo defunto? Che senso hanno tutte quelle pratiche, come ad esempio le cosiddette messe gregoriane con cui si impegna un sacerdote per trenta giorni consecutivi a celebrare per un singolo defunto, se ogni singola messa ha valore infinito? Non dovrebbe bastare la messa del funerale, senza bisogno di ulteriori celebrazioni? La risposta è piuttosto complessa dal punto di vista teologico, ma cerchiamo di renderla più semplice possibile. Ogni messa ha un valore infinito in se stessa. Quanto alla sua applicazione dipende però dalla capacità della Chiesa di unirsi all’intenzione dell’offerente. Il tesoro infinito costituito dai meriti di Cristo che si realizza nella messa non viene applicato automaticamente all’intenzione del celebrante, ma solo nella misura in cui lo stesso celebrante e tutta la Chiesa si uniscono all’offerta del sacrificio. Ed è per questo che si moltiplicano le messe, non solo per i defunti ma anche per la santificazione dei viventi. Quanto al valore oggettivo, basterebbero una singola messa e una singola comunione fatte bene per raggiungere il massimo grado di santità. Dal punto di vista soggettivo, però, l’applicazione dei meriti di Cristo dipende dalla capacità del sacerdote, dei fedeli e di tutta la Chiesa di unirsi al sacrificio eucaristico. E questa nostra capacità soggettiva, purtroppo, è sempre mancante e non è mai infinita. Per questo andiamo a messa più spesso possibile e moltiplichiamo le messe di suffragio per i nostri cari, anche se ognuna di esse ha un valore immenso e infinito.
La sintesi fatta da Dante
Meglio dunque abbandonarsi a quanto la Chiesa insegna da sempre e continuare in semplicità e umiltà a pregare e a far dire messe per i defunti. Nella certezza che ogni nostra preghiera aiuta coloro che stanno affrontando la purificazione del Purgatorio a progredire grandemente verso il Paradiso. Torniamo pure con la mente al poema di Dante, per esempio a quando re Manfredi chiede al Sommo Poeta di rivelare a sua figlia Costanza che lui è salvo e si trova in Purgatorio, così che possa pregare per lui. Lo fa perché lì, in Purgatorio, grazie alle preghiere di coloro che stanno dall’altra parte, ovvero sulla Terra, si avanza grandemente verso Dio. Nelle parole immense di Dante, che riassumono in un endecasillabo sublime l’intera dottrina cattolica sulle preghiere di suffragio, suona così: “ché qui per quei di là molto s’avanza” (Purgatorio Canto III).