Il pensiero pericoloso di Theodor Adorno
Riportiamo uno dei contributi del socio Maria Marinangeli (dirigente scolastico del Liceo di Gubbio) al Dizionario elementare del pensiero pericoloso edito dall’Istituto di Apologetica (a cura di Gianpaolo Barra, Mario A. Innaccone e Marco Respinti). Le varie voci del Dizionario sono articolate in modo da riportare notizie biografiche sull’autore esaminato, alcune affermazioni centrali del suo pensiero e le risposte cattoliche per evidenziarne gli errori e la pericolosità. È possibile acquistare il Dizionario direttamente dal sito del Timone.
di Maria Marinangeli
Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969), sociologo, musicologo e filosofo, nasce a Francoforte, in Germania. Figlio unico di un mercante di vini ebreo, Oscar Alexander Wiesengrund (1870-1946), firma i primi scritti con il cognome della madre, Maria Barbara Calvelli-Adorno della Piana (1865-1952), una musicista cattolica di origini còrse e, prima ancora, genovesi; il nome ebraico del padre viene così abbreviato in una semplice “W.” La madre lo introduce allo studio della musica e della filosofia classica tedesca. Si laurea nel 1924 con una tesi sulla fenomenologia del filosofo tedesco Edmund Husserl (1859-1938). Nel suo primo scritto, in realtà, si occupa di musica, affascinato dal nuovo linguaggio introdotto dal compositore austriaco Arnold Schönberg (1874-1951). Adorno si reca del resto a Vienna, in Austria, per studiare con lui, entrando nella sua cerchia. L’intento principale della nuova impostazione musicale schönbergiana è peraltro quello di scardinare le regole soggiacenti la musica tonale (ossia le regole che informano tutta la musica occidentale), nella convinzione che il modo di scrivere musica nella maniera classica abbia portato a modalità espressive da superare grazie al metodo compositivo chiamato “dodecafonico”. Si tratta di una sorta di «comunismo dei dodici suoni» o di «emancipazione della dissonanza», per usare espressioni dello stesso Schönberg. Adorno, nella sua produzione saggistica e polemica, sarà sempre strenuo sostenitore di questa idea, del tutto avversata invece dal pubblico e da buona parte della critica di allora. Nel 1931, il filosofo ottiene la libera docenza nell’Università di Francoforte, dove insegna fino a quando viene costretto dall’avvento del nazionalsocialismo in Germania a emigrare in quanto ebreo a Parigi, in Inghilterra e infine negli Stati Uniti. Nel 1950 ritorna quindi a Francoforte dove insegna filosofia e sociologia, dirigendo l’Istituto per le ricerche sociali, ovvero quella che sarà nota come “Scuola di Francoforte“. Muore d’infarto a Visp, in Svizzera, il 6 agosto del 1969.
Il pensiero
La concezione filosofica di Adorno è profondamente influenzata dalla filosofia del tedesco Immanuel Kant (1724-1804), ma soprattutto dal tedesco George Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) della Phänomenologie des Geistes cioè La Fenomenologia dello Spirito (1807), secondo tre settrici principali: il reale ha un significato e può essere compreso mediante gli strumenti della ragione; il reale consiste nella sua processualità storico-dialettica; soggetto e oggetto non costituiscono due sfere eterogenee e autonome. La filosofia hegeliana influisce moltissimo anche sulla critica che Adorno sembra muovere all’illuminismo (cfr. M. Respinti, Illuminismo, in G. Barra, M.A. lannaccone e M. Respinti [a cura di], Dizionario elementare di apologetica, Istituto di Apologetica, Milano 2015, pp. 241-246) e alla scienza: tanto l’uno che l’altra si basano infatti sul principio della razionalità analitica, accettano positivisticamente il reale così com’è e mirano soltanto a inserirlo o a riprodurlo all’interno di operazioni tecnico-pratiche, le quali però mostrano sempre che il dominio dell’uomo sulla natura implica il dominio dell’uomo sull’uomo e che la razionalità della scienza scienza è astratta e oppressiva, giacché tratta gli uomini come oggetti, esprimendo in ciò le tendenze più profonde della società borghese.
Si tratta, in pratica, della medesima ispirazione negativa e antipositivistica che caratterizza l’Adorno degli studi musicologici, il quale, seguendo la filosofia “dodecafonica”, intende esprimere le contraddizioni della società, negare la situazione esistente, prospettare la necessità di un suo superamento e indicare il passaggio a una condizione interamente nuova.
ll suo pensiero avanza infatti instancabilmente una richiesta: che la filosofia assolva una funzione critica, concettualizzando entro un contesto concreto. Ma questo lo porta, inevitabilmente, a ricercare con costanza un’armonizzazione della realtà diveniente che invece rimane immobile e non armonizzabile. Per lui, lo strumento privilegiato della conoscenza rimane comunque la dialettica, e precisamente ciò che Hegel indica come metodo della negazione determinata. Il legame con Hegel è infatti andato assumendo, forse più che quello con il marxismo, un valore decisivo per I’Adorno degli ultimi anni, portandolo a rimeditare sui concetti di contraddizione e di totalità in modo sempre più marcato.
All’interno della “Scuola di Francoforte”, il pensiero di Adorno si concentra più sugli studi sociologici che su quelli filosofici in senso stretto e si esplica nel “concetto di razionalità strumentale”, ovvero nella denuncia degli usi strumentali che il capitalismo compie degli ideali illuministi allo scopo di aumentare il consenso e il controllo sull’uomo; in uno studio dell’“industria culturale”, cioè della sistematica opera di omologazione e di appiattimento delle diversità degli uomini al fine di creare bisogni sempre più uguali con l’aiuto indispensabile dei mass-media, e nel “mito della personalità autoritaria”, riprendendo le idee del filosofo tedesco, suo sodale nella “Scuola di Francoforte”‘, Max Horkheimer (1895-1973), che attribuisce all’istituto familiare la responsabilità maggiore nella creazione del consenso.
Ecco allora l’Adorno che cerca di sovvertire l’ordine, la regola, la tradizione, anche musicale. Non a caso, in Minima Moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, cioè Minima Moralia. Meditazioni sulla vita offesa, del 1951, scrive: «il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine» (trad. it., Einaudi, Torino 1997, p. 270), ovvero quello di liberarsi della morale che proviene dalle categorie della società ricca, opulenta, tecnologica, insomma di liberarsi dal Dio sempre presente, di fugare la verità.
A suo avviso, l’industria culturale crea l’uomo manipolabile, Io vede come essere generico, guidato anche nel divertimento. Adorno considera questa una delle cose più diaboliche architettate per garantire il sistema stesso, uno strumento subdolo di controllo della coscienza delle masse, dove il soggetto, consumatore, è in realtà l’oggetto eteroguidato.
Risposte nella prospettiva cattolica
In realtà, quella di rivolgersi alle masse diviene, nel secolo XX, quasi una religione parallela: qualunque modalità di conoscenza sembra debba avvenire sulla base di un collettivismo esasperato. Ma la storia insegna che il ruolo decisivo, in qualunque campo, è determinato dall’individualità. La prospettiva cattolica sa bene che, prima ancora che di umanità, si parla di uomo. È su ogni uomo che Dio ha un progetto, non sulla massa.
Ebbene Adorno, che si scaglia contro l’ “industria culturale” giudicandola un mero sistema di controllo delle masse, è in realtà un emblema di quella che il filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989), in Tramonto o eclissi dei valori tradizionali? (con Ugo Spirito [1896-1979], Rusconi, Milano 1971), definisce “era della catastrofe”, ovvero il tempo in cui tutte le ideologie elaborate dall’uomo per sostituire Dio si rovesciano nel proprio esatto contrario.